E’ ormai chiaro che quella che si svolge in Israele e in Ucraina, passando attraverso il Nagorno-Karabakh e dai conflitti nell’africa sub-sahariana, è una partita globale.
Il guanto di sfida lanciato dai grandi regimi totalitari e autocratici alle democrazie occidentali aggiunge ogni giorno un tassello al puzzle del nuovo bipolarismo mondiale.

I voti alle Nazioni Unite sulle risoluzioni di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina avevano mostrato un mondo diviso non più tra nord e sud o tra est e ovest, ma a macchia di leopardo. Ancora più significativo è il voto di ieri, sempre in sede ONU, sulla risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza: la proposta presentata dalla Giordania, che non comprende alcun cenno di condanna rispetto alle azioni terroristiche di Hamas, è stata votata da 120 membri, con 45 astenuti e 14 contrari.

Ma la fondamentale differenza rispetto alle votazioni sull’Ucraina è che questa volta la comunità occidentale si è divisa, con paesi europei come Francia, Spagna, Norvegia, Portogallo, Belgio, Slovenia che hanno votato a favore insieme a Cina e Russia, mentre Italia, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Grecia, Regno Unito e Germania si sono astenute, così come Canada e Australia. Austria e Ungheria si sono invece schierate con Israele e USA per il no. Le democrazie occidentali, dunque, hanno votato in ordine sparso.

Perché questo fatto è preoccupante? Perché sembra che l’Occidente stia cadendo nel tranello teso dai veri registi di tutto questo, i grandi regimi autocratici, il cui solo obiettivo è di creare fratture tra le democrazie, e infilarsi astutamente e subdolamente in esse, per spezzarne l’unità e dimostrarne la debolezza intrinseca.

Già stava accadendo con l’indebolimento della coesione sul tema ucraino, ora i nemici hanno scelto un fronte molto meno vasto in termini territoriali e di popolazione ma estremamente più delicato per l’opinione pubblica, in quanto la guerra tra Israele e Palestina è, da sempre, la madre di tutti i conflitti, scatenando una azione paragonabile, in termini di ferocia, a quanto fatto dai russi in Ucraina nella prima fase del conflitto.

Preoccupanti sono anche le dichiarazioni di Erdogan a favore dei terroristi di Hamas, definiti “liberatori”, in quanto la Turchia è un alleato della NATO, anche se il leader turco ci ha abituato a frequenti e repentini cambi di linea, quindi non è escluso che a breve possa dichiarare il contrario. Se l’Occidente, a partire dai Paesi dell’Unione Europea, non ritroverà una forte coesione, il gioco di Cina, Russia, Iran e sodali sarà compiuto.

Nel ribadire il totale e incondizionato sostegno a Israele e al suo diritto di esistere, mentre non possiamo concordare con chi rifiuta di condannare Hamas, anzi lo guarda perfino con qualche simpatia, dobbiamo anche sottolineare che l’eccesso di reazione di Israele non giova certo in questo gioco. Gli USA sono stati i primi a sottolineare che la reazione deve essere controllata, questo deve avvenire non solo a parole ma nei fatti.

E’ certo che gli USA, che ospitano una diaspora superiore, in termini numerici, perfino alla popolazione residente in Israele, sono pesantemente influenzati dalle potenti lobby ebraiche, per lo più schierate politicamente con i democratici, ma è anche vero che non mancano, come nella stessa Israele, voci a favore di un percorso di pacificazione con i palestinesi. Ciò, ovviamente con l’eccezione dei terroristi di Hamas: questi vanno debellati definitivamente e – ribadiamo – non coincidono con il popolo palestinese, che ne è, anzi, la prima vittima.

Su questo fronte, Biden gioca una partita decisiva per la propria rielezione, forse più di quanto non lo sia il dossier ucraino.

Da ultimo, non si può non rilevare come la responsabilità di quanto successo abbia un nome e un cognome: Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano aveva a disposizione uno dei più avanzati sistemi militari e di intelligence del mondo, ma ha palesemente sottovalutato quanto stava accadendo ed ha patito un attacco violentissimo da parte di Hamas, enormemente più debole sotto il profilo militare, senza essere in grado di reagire. I morti israeliani sono sulla sua coscienza, la resa dei conti in Israele è solo rimandata alla fine delle ostilità, ma ormai Netanyahu è politicamente finito.

Per questo, estremamente pericoloso.

Paolo Alli
28 ottobre 2023

I voti all’ONU su Ucraina e Israele


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